martedì 17 giugno 2008

I pinguini volano? Cortometraggio

Torniamo ad aggiornare l'angolo dell'animazione 3D con un documentario comico sulla domanda: I pinguini volano? Davvero molto spassoso.

mercoledì 4 giugno 2008

Garofalo Ferrara - 5 aprile – 6 luglio 2008

La prima opera del Rinascimento italiano giunta in Russia, all’epoca di Pietro il Grande - sia pure con l’erronea attribuzione a Raffaello – è stata un dipinto del ferrarese Benvenuto Tisi detto il Garofano.
Era quasi inevitabile che la prima mostra realizzata a Ferrara da Ermitage Italia – la filiale italiana del grande museo russo, inaugurata nella città estense il 20 ottobre del 2007, quale importante centro di studi e di ricerche italo russo – fosse dedicata a Garofalo, uno dei principali protagonisti della cultura figurativa ferrarese del Cinquecento, di cui il Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo conserva un importante nucleo di opere e di cui restano testimonianze nei principali musei del mondo.

Sarà dunque allestita nelle splendide sale del Castello Estense, dal 5 aprile al 6 luglio 2008, la prima mostra monografica su Benvenuto Tisi (Ferrara 1481 – 1559).
Molti capolavori di Garofalo si conservano ancora in città – e nell’occasione potranno essere apprezzati in un itinerario tematico che consentirà di vedere anche opere altrimenti non fruibili - ma molti altri, ormai da secoli, hanno lasciato Ferrara, in seguito alla famosa devoluzione del 1598, a svariate vendite e, non ultimo, alle requisizioni napoleoniche.

Grazie alla collaborazione con le più importanti istituzioni europee – dalla National Gallery di Londra allo Staatliche Kunstsammlungen Gemäldegalerie di Dresda, dal Musée du Louvre di Parigi al Kunsthistorishes Museum di Vienna, dalla Galleria Borghese e dai Musei Capitolini di Roma fino al Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte – questi lavori dispersi faranno ora ritorno nella città degli Estensi, ove furono concepiti e ove contribuirono a quel clima di rinnovamento che caratterizzò il ducato nell’ultimo secolo di fulgore.
Data Inizio: 05/04/2008 Provincia: Ferrara
Data Fine: 06/07/2008 Regione: Emilia Romagna
Costo del biglietto: 10,00 euro Orario: Tutti i giorni ore 9.30 – 19.30
Prenotazione: Facoltativa Telefono: 199.411.120
Città: Ferrara Sito Web: http://www.mostragarofalo.it/
Luogo: Castello Estense

martedì 3 giugno 2008

Corto: Il bruco confuso


Dopo la lumaca turbo ecco un nuovo corto: il bruco confuso. Un altro simpatico esempio di animazione sviluppata in digitale! Davvero simpatico.

martedì 27 maggio 2008

Henri de Toulouse-Lautrec


Henri de Toulouse-Lautrec (1864-1901) è un pittore francese, tra le figure più importanti del panorama artistico di fine '800.
Nato da una famiglia di origini nobili ebbe fin da piccolo un cagionevole stato di salute, inoltre all'età di 13 anni si ruppe entrambi i femori. Le sue gambe non guarirono del tutto e smisero di crescere; così da adulto era alto 1,52 m, ma gli arti inferiori erano quelli di un bambino. Queste menomazioni lo spinsero ancor di più a concentrarsi nel campo artistico, diventando un talentuoso pittore e ritrattista, sulla scia dei colleghi impressionisti (fu un grande ammiratore di Cézanne, Renoir, Manet e in particolar modo di Degas). Henri conobbe e diventò grande amico di Van Gogh, il quale gli fece scoprire la xilografia giapponese. Nel 1884 andò a vivere nel quartiere di Montmartre, un luogo di grande ispirazione e fermento non solo artistico, infatti Henri vi condurrà una vita molto intensa. Assiduo frequentatore di cabarèt, caffè e bordelli; ospite fisso del Moulin Rouge e di altri teatri e locali di Parigi tanto da venir definito "l'anima di Montmartre". Era inoltre un alcolista e soffriva di crisi depressive e nevrosi, tanto che sarà addirittura ricoverato in manicomio negli ultimi anni della sua vita. Dei suoi vent'anni di produzione rimangono ben 600 dipinti, ma Henri è ricordato soprattutto come uno dei più geniali grafici della storia dell'arte, soprattutto nell'uso della litografia. Spesso gli venivano commissionati manifesti pubblicitari per i locali parigini (alcuni riportati in questo post) ed Henri li rese dei veri capolavori entrati di diritto nella storia. Queste celeberrime "pubblicità" sono state, e sono ancor oggi, fonte di ispirazione per grafici; ma soprattutto sono entrate nell'immaginario collettivo. Con i suoi manifesti Henri ci racconta la vita della Parigi di fine '800, rendendo immortali tutte quelle figure umane (camerieri, ballerine, proprietari, clienti) rappresentative della Belle èpoque.
























lunedì 26 maggio 2008

Pallas - Beat the Drum



Pallas - Beat the Drum (1998)

Genere Progressive Rock / Progressive Metal

Band Prog inglese formatasi nel 1980 i Pallas possono essere considerati appartenenti alla corrente neoprogressive, simili ai Pendragon, ai Transatlantic (anche se molto più recenti come formazione) e ai Marillion.
Beat the Drum è il loro quinto album, ma è il primo ad avere un sound più tendente al prog-metal stile Dream Theater.
Suoni ricercati, rapidi e continui cambi ritmo, tastiere sempre in funzione: questi sono i Pallas.
Tracce da non perdere: Hide & Seek e Blood & Roses di cui posto il video Live a Glasgow del 2007.

Tracce:

1. Call to Arms (6.27)
2. Beat the Drum (9.17)
3. Hide & Seek (4.42)
4. Insomniac (7.40)
5. All or Nothing (4.53)
6. Spirits (5.41)
7. Man of Principle (5.43)
8. Ghosts (8.15)
9. Blood & Roses (4.52)
10. Wilderness Years (6.01)
11. Fragments of the Sun (8.01)

Durata 56 Minuti e 14 Secondi
Etichetta Inside Out


venerdì 23 maggio 2008

Pendragon - The Masquerade Overture



Pendragon - The Masquerade Overture (1996)

Genere Progressive Rock

Album capolavoro per la rock band inglese Pendragon, caratterizzata soprattutto per gli assoli virtuosi e la voce acuta di Nick Barrett (non Sid!).
Melodie quasi classiche, con orchestra e cori a più voci, ma anche tastiera, sintetizzatori, batteria e chitarra elettrica sono gli ingredienti delle 7 imperdibili tracce; suoni puliti e originalità sono gli aggettivi che meglio identificano tale produzione.
La traccia da ascoltare assolutamente è Masters of Illusion.


Tracce:

1. The Masquerade Overture (3' 02")
2. As Good As Gold (7' 15")
3. Paintbox (8' 36")
4. The Pursuit of Excellence (2' 36")
5. Guardian of My Soul (12' 39")
6. The Shadow (9' 54")
7. Masters of Illusion (12' 50")

Durata 56 Minuti e 56 Secondi
Etichetta Toff Records

giovedì 22 maggio 2008

Peggy: una vita per l'arte

Il 2008 è un anno importante per la Collezione Peggy Guggenheim: l’anno che celebra i 60 anni della Collezione a Venezia. Una lunga serie di eventi, mostre temporanee, conferenze e dibattiti, laboratori didattici, visite guidate gratuite, proiezioni di film in giardino e il concerto per il compleanno di Peggy, ripercorrerà i momenti che hanno segnato la vita della mecenate americana dal suo arrivo a Venezia nel 1948 attraverso la storia delle opere della sua Collezione, dei suoi amici artisti, del suo talento e della passione per l’arte. Partendo proprio dai contenuti delle due mostre temporanee, Coming of Age: American Art, 1850s to 1950s e Carlo Cardazzo. Una nuova visione dell’arte, questo ricco programma intende approfondire da una parte l’importanza dei legami tra Peggy e le avanguardie americane, e dall’altra la sua grande influenza all’interno del panorama artistico veneziano degli anni ‘40 e ’50, mettendo così in luce due diversi aspetti di quell’unica grande passione artistica che animò l’esistenza della straordinaria mecenate americana. Era il 1948 quando Peggy Guggenheim fu invitata da Rodolfo Pallucchini, allora Segretario Generale della Biennale di Venezia, ad esporre la propria già leggendaria collezione al Padiglione della Grecia, all’epoca impegnata nella guerra civile: per la prima volta in Europa il pubblico poteva ammirare le opere dei grandi rappresentanti dell’Espressionismo astratto americano, artisti quali Pollock, Gorky, Rothko. Appena un anno più tardi Peggy Guggenheim acquistava Palazzo Venier dei Leoni, prezioso scrigno sul Canal Grande che da allora custodisce la sua leggendaria collezione, la più importante in Italia per l’arte europea e americana della prima metà del Novecento. Durante i trent’anni trascorsi a Venezia, Peggy ha continuato instacabilmente a collezionare opere d’arte e ad appoggiare artisti internazionali e locali, come Edmondo Bacci e Tancredi Parmeggiani. Nel 1969 Peggy decide di donare il palazzo e le opere d’arte alla Fondazione Solomon R. Guggenheim, creata nel 1937 dallo zio Solomon per amministrare la propria collezione e il museo. Dal 1980, un anno dopo la scomparsa della collezionista americana, Palazzo Venier dei Leoni è divenuto un museo che oggi conta quasi 400.000 visitatori l’anno.
In occasione del 60° Anniversario della Collezione Peggy Guggenheim a Venezia, il museo ha organizzato una serie di iniziative didattiche dedicate alla propria fondatrice. Ogni ultimo sabato del mese alle 15.00 saranno infatti organizzati laboratori per bambini dai 4 ai 10 anni ispirati a Peggy, alla sua vita avventurosa, al Palazzo sul Canal Grande e al suo amore per l'arte e per la città di Venezia.
Dal 7 di gennaio, oltre alle attività destinate ai più piccoli, la Collezione Peggy Guggenheim organizza presentazioni gratuite per il pubblico adulto. Tutti i giorni alle 12.00 e alle 16.00 i visitatori potranno saperne di più sulla storia della famiglia Guggenheim, sui numerosi viaggi di Peggy tra Europa e Stati Uniti e sulle importanti amicizie della mecenate con gli artisti e gli intellettuali di tutto il mondo. Alle 15.30 il pubblico potrà invece ascoltare il racconto dell'arrivo di Peggy a Venezia, il suo rapporto con la città, con la Biennale e con gli artisti veneziani dei quali fu amica e collezionista.

martedì 20 maggio 2008

Corto: la lumaca turbo

Ecco un corto molto ben fatto. L'animazione mostra una lumaca che stufa della sua situazione decide di cambiare. Davvero interessante.

lunedì 19 maggio 2008

King Crimson - In the Court of the Crimson King



King Crimson - In the Court of the Crimson King (1969)

Genere Progressive Rock

Album d'esordio per i King Crimson, gruppo progressive rock inglese fine anni 60.
5 tracce psichedeliche al massimo, 41 minuti di tecnicismi ricercatissimi e di originalità inaudita per l'epoca.
Difficile definire Progressive questo album... contiene una miriade di generi: folk,
rock, jazz, melodie classiche e riminescenze rinascimentali.
La traccia consigliata è senza dubbio l'ultima: The Court of the Crimson King.


Tracce:

1. 21st Century Schizoid Man
[Mirrors] - 7:20
2. I Talk to the Wind
- 6:05
3. Epitaph
[March for no Reason and Tomorrow and Tomorrow] - 8:47
4. Moonchild [The Dream and The Illusion]- 12:11
5. The Court of the Crimson King
[The Return of the Fire Witch, The Dance of the Puppets] - 9:22

Durata 41 Minuti e 19 Secondi
Etichetta Island Records

mercoledì 14 maggio 2008

Visite al Palazzo Patriarcale

l Patriarca di Venezia apre la propria casa ai visitatori, accogliendoli nelle sale che egli stesso utilizza nella vita di tutti i giorni per incontri ufficiali, pubblici e privati. Occasione assolutamente unica, sarà possibile essere accolti e guidati nelle sale del Palazzo Patriarcale, adiacente alla Basilica di San Marco in piazzetta dei Leoncini, ogni venerdì a partire da venerdì 9 novembre 2007. Nel Palazzo (opera della prima metà dell’Ottocento dell’architetto Lorenzo Santi, i cui restauri sono appena terminati) è visibile una collezione che raccoglie opere dal Quattrocento all’Ottocento, provenienti soprattutto da chiese soppresse o non più aperte al culto, oltre a donazioni e prestiti temporanei. Fra le numerose opere il nucleo principale è costituito dal ciclo di tele sulle Storie di Santa Caterina d’Alessandria proveniente dalla chiesa veneziana omonima e di proprietà della Soprintendenza per il Polo Museale veneziano, realizzato da Jacopo Tintoretto e bottega. Accanto a queste sono visibili la Natività di Giambattista Tiepolo, della Basilica di San Marco, ed altre significative tele di Palma il Giovane. Nell’insieme, si tratta di un nucleo prestigioso che, con altri esempi in parte inediti e sconosciuti, rende la visita al palazzo un evento straordinario. Ma inedita è anche la preziosa opportunità di visitare i luoghi privati e pubblici del Patriarca di Venezia come la Sala del Tintoretto (che ospita il ciclo di Santa Caterina), la Sala da pranzo, la Sala dei Banchetti, il Vestibolo, lo Studio, la Sala dei Papi e la Galleria dei Patriarchi, la Cappella privata, oltre all’appartamento che fu del patriarca Luigi Sarto, poi Papa San Pio X che qui abitò dal 1894 al 1903, che ospita alcuni suoi ricordi personali.

Le visite si svolgono durante tre turni:
ore 15.00
ore 16.00
ore 17.00
Per partecipare è richiesta la prenotazione presso l’Ufficio Pastorale del Turismo.
La visita parte dal Museo Diocesano, dove va acquistato il biglietto, e dura 1 ora.
Il biglietto € 10,00 consente anche la visita libera al Museo Diocesano, usufruibile anche in un’altra data (ingresso gratuito ai bambini fino ai 5 anni).

lunedì 12 maggio 2008

Dylan Thomas


Il 5 novembre 1953 Dylan Thomas è al Chelsea Hotel a New York; lo stesso Chelsea Hotel dove Dylan (Bob) scriverà Sad-Eyed Lady of the Lowlands per la moglie Sarah; lo stesso Chelsea Hotel di Joan Baez, di Leonard Cohen e altri artisti sregolati che vi troveranno rifugio. In una stanza di quel celebre hotel una ventina di whiskies lisci gli saranno fatali e dopo 5 giorni di coma il poeta gallese morirà. Dylan Thomas era un bohémien, un pacifista, un alcolista (si presentò alla visita di leva completamente sbronzo), un uomo che non sapeva gestire i suoi soldi e che viveva su una barca, e probabilmente uno dei più grandi poeti inglesi moderni. Le sue liriche sono folgorazioni, visioni, sogni, misticismo, ritmo e melodia (non andrebbero lette, andrebbero cantate, nella migliore tradizione dei bardi del Galles). La genesi delle sue poesie, come dichiarava lui stesso, era un travaglio interiore, era rincorrere un immagine per svelarne una più in profondità, un continuo flusso di visione in visione verso l'abisso o il paradiso. Thomas ha scritto su tutto, sulla nascita, sulla morte, sull'amore, sulla natura, sul sesso con un linguaggio magico ed onirico a volte veramente difficile da seguire. E allora anche se non si comprende appieno il significato non resta che abbandonarsi alla bellezza dei versi. "Una bella poesia é un contributo alla realtà. Il mondo non è più lo stesso dopo che gli si è aggiunta una bella poesia." (Dylan Thomas 1914-1953)

domenica 11 maggio 2008

The Clash - London Calling




The Clash - London Calling (1979)

Genere Punk

Il successo di pubblico e critica negli USA per i Clash, fino ad allora famosi soltanto nella natia Gran Bretagna e in parte d'Europa arrivò con questo album doppio (allora uscivano in vinile, ovviamente) pubblicato nel dicembre 1979 però venduto al prezzo di un album singolo (su specifica insistenza della band). Il nuovo lavoro della band accostava al punk classico molti generi quali il il reggae o il rockabilly american style.
L'album è una pietra miliare della storia della musica non solo punk; le tracce indimenticabili sono Train in Vain, Lost in the Supermarket, Clampdown e London Calling . Il tema politico è frequente nei testi : The Guns of Brixton parla del quartiere popolare londinese abitato da immigrati; Spanish Bombs tratta la guerra civile spagnola; Clampdown dei crimini nazisti; Lost in the Supermarket è una critica al sistema capitalista; Koka Kola una forte critica alla realtà americana. Revolution Rock invece può essere considerato il testamento politico della band.
Curiosità: London Calling è considerato in Inghilterra tra i migliori album degli anni Settanta, negli Stati Uniti degli Ottanta.

Tracce:

1. London Calling
- 3:20
2. Brand New Cadillac
- 2:08
3. Jimmy Jazz
- 3:54
4. Hateful
- 2:44
5. Rudie Can't Fail
- 3:29
6. Spanish Bombs - 3:18
7. The Right Profile
- 3:54
8. Lost in the Supermarket
- 3:47
9. Clampdown
- 3:49
10. The Guns of Brixton
- 3:09
11. Wrong'em Boyo
- 3:10
12. Death or Glory
- 3:55
13. Koka Kola
- 1:47
14. The Card Cheat
- 3:49
15. Lover's Rock
- 4:03
16. Four Horsemen
- 2:55
17. I'm Not Down
- 3:06
18. Revolution Rock
- 5:33
19. Train in Vain
- 3:09

Durata 64 Minuti e 59 Secondi
Etichetta Epic

mercoledì 7 maggio 2008

Matthias BRANDES - La scabra materia dei sogni

Matthias BRANDES

La scabra materia dei sogni
Matthias Brandes è un pittore anomalo. Un pittore che usa la tela come supporto per definire e scolpire una realtà magica, fatata. Incide con il pennello un modo incantato, un paesaggio affascinante dove le case si accatastano una sull'altra in equilibrio instabile o emergono da piatte lagune immerse in un silenzio irreale. Guardando questi dipinti la prima cosa che si nota è il materiale ruvido con il quale sono stati fatti questi edifici. Brandes ottiene questa materia usando tempera all'uovo grassa, senza acqua, mescolata con il colore ad olio. Tutto ciò da l’idea di un quadro tridimensionale che spinge lo spettatore a toccare con mano per accertarsi della consistenza dello stesso.
La pittura di Matthias Brandes è tutta nel suo impatto immediato, nelle emozioni che fa risuonare dentro di noi toccando le nostre corde più profonde. E' una pittura che incanta proprio per quel suo non fornire né cercare spiegazioni. La sua logica è quella che presiede i sogni.
E’ tutto un susseguirsi di solidi geometrici addossati l'uno all'altro come nel gioco del domino, poi un cipresso, una cupola, un altro tetto. La sensazione è la medesima, sia che quelle case mantengano un se pur minimo grado di realtà perché adagiate su una roccia o sulla superficie calma dell'acqua, sia che si rivelino gli elementi di una natura morta appoggiata su un tavolo dalla tovaglia immacolata. Resta invariata l'essenza di quel loro essere al tempo stesso vere e sognate.


dal 03 maggio 2008 al 03 giugno 2008
Galleria Polin Treviso Vicolo San Pancrazio, 20
Per informazioni: 0422-580004 340.3356420

martedì 6 maggio 2008

Arte con le ombre.

Ecco l'ultima trovata di un gruppo di artisti. Esibirsi in un teatro senza nessun effetto scenografico servendosi solamente della propria ombra. Ecco nascere incredibili coreografie. Guardatelo!!

lunedì 5 maggio 2008

Adolfo Wildt


Adolfo Wildt è uno scultore italiano vissuto tra il 1868 e il 1931. Nonostante sia un maestro nella lavorazione del marmo (paragonabile a Canova) è sconosciuto a molti, forse perchè le mostre a lui dedicate in questi ultimi 50 anni si contano sulle dita di una mano. Wildt nasce a Milano da una famiglia di origine svizzera molto povera, dovrà lasciare la scuola a 9 anni e lavorare come garzone da un parucchiere e poi da un orafo. A 11 anni entra nella bottega di Giuseppe Grandi, dove impara a scolpire e poi si iscrive a Brera all'Accademia. Durante una sua esposizione a Brera conosce un ricco collezionista prussiano, Franz Rose, che diventerà suo amico e mecenate, finanziando le sue opere fino al 1912. Nel 1921 fonda a Milano una scuola del marmo. Guardando le opere di Wildt si nota subito la cura maniacale dell'artista nello scolpire il marmo e successivamente nel levigarlo e lucidarlo dando al materiale purezza e plasticità. La luce può così giocare sulle superfici perfettamente lisce evidenziando la misticità ed il senso onirico delle forme. Nelle sue opere Wildt esalta il senso del silenzio, della malinconia, della sofferenza della vita, ma anche della gioia e della delicatezza. Spesso lo scultore deforma le figure, accentuando uno zigomo, un sopraciglio allo scopo di esprimere il sentimento desiderato. Questo suo modo di rappresentazione della realtà lo accomuna ai pittori espressionisti. Come scrisse egli stesso: "Scolpire significa immettere lo spirito nella materia".








San Francesco




















Filo d'oro

domenica 4 maggio 2008

Kraftwerk - Autobahn


Kraftwerk - Autobahn (1974)

Genere Elettro-pop-rock

Quarto album dei tedeschi Kraftwerk, forse il gruppo più influente e importante nella storia della musica elettronica. Autobahn è considerato all'unaminità una pietra miliare della musica elettronica.
Nell'album, oltre agli immancabili sintetizzatori e le tastiere sono presenti anche strumenti non elettronici, come flauti,violinie chitarre, che danno al lavoro una varietà musicale molto marcata.
L'album "parla" dell'esperienza di guida in autostrada: dalla monotonia del viaggio, al fascino della velocità, alla compagnia che può tenere la musica durante il tragitto.
Un disco da ascoltare con impegno si può dire, come del resto anche gli altri lavori della band a causa della complessità della musica dei Werk.
Da notare la bellissima copertina dell'artista Emil Schult.
Tracce da ascoltare: praticamente tutte...

Tracce:
1. Autobahn (Hütter, Schneider, Schult) - 22:40
2. Kometenmelodie 1 (Hütter, Schneider) - 6:25
3. Kometenmelodie 2 (Hütter, Schneider) - 5:44
4. Mitternacht (Hütter, Schneider) - 4:40
5. Morgenspaziergang (Hütter, Schneider) - 4:03

Durata 42 Minuti e 27 Secondi
Etichetta Mercury

martedì 29 aprile 2008

Caspar David Friedrich: Vita e Analisi delle Opere del pittore del Romanticismo tedesco

Caspar David Friedrich nacque nel 1774 a Greifswald in Pomerania, all’epoca sotto il controllo del Regno di Svezia. Dal 1794 al 1798 studiò presso l’Accademia d’Arte di Copenaghen in Danimarca. Nel 1798 si trasferì a Dresda, dove visse fino alla sua morte nel 1840. Si rifiutò sempre di compiere il tradizionale viaggio in Italia.

Friedrich è il maggiore esponente della pittura romantica tedesca ed è l’artista che meglio ha saputo trasmettere su tela la tensione umana verso l’infinito e l’anima universale, a cui appartengono l’uomo e la natura.

Secondo Friedrich: “Il compito dell’artista non è la rappresentazione fedele dell’aria, dell’acqua, delle rocce, degli alberi: la sua anima e la sua sensibilità devono rispecchiarsi nella sua opera. Il compito di un’opera d’arte è di riconoscere lo spirito della natura, comprenderlo, registrarlo e renderlo con tutto il cuore e il sentimento”.


E’ impossibile non percepire un senso di desolazione e di inquietudine nell’osservare il “Monaco in riva al mare” (1808-1809, olio su tela, 110 x 171 cm, Berlino).
Si possono distinguere tre zone in cui la tela è suddivisa, ma, trasmettono lo stesso senso di vuoto e l’occhio ha difficoltà a soffermarsi su un unico punto.
Lo scrittore Heinrich von Kleist, a tal proposito, disse: “A causa della sua monotonia e sconfinatezza, con nient’altro se non la cornice come sfondo, uno sente come se le proprie palpebre fossero state tagliate via”.
Dinnanzi alla vastità della natura si distingue la piccola figura di un monaco in contemplazione sulla spiaggia, che evidenzia il contrasto tra la finitezza dell’uomo e l’infinitezza dell’universo.
Rauch commentò: "Si tratta sempre del dialogo del singolo con l'incommensurabilità dell'universo, un dialogo che invano attende una risposta di Dio".


Nella "Abazia nel querceto” (1809, olio su tela, 110,4 x 171 cm, Berlino) manca il senso della profondità e le forme assumono sembianze astratte, facendo percepire una certa insofferenza da parte Friedrich nei confronti delle convenzioni.
Le croci conficcate nel terreno e le figure spettrali dei monaci, che trasportano le spoglie dell’artista stesso verso la sepoltura, sono espressione di un’attenzione per i simboli religiosi e di un gusto cimiteriale.
Il tragitto compiuto dalla salma, che sta per varcare il portale dell’abazia, rappresenta il passaggio dalla vita terrena alla vita eterna, quest’ultima simboleggiata dalle prime luci dell’alba, che irradiano un gelido mattino invernale.
Le rovine del convento creano una immagine al di fuori del tempo, rievocando il Medioevo ed una intensa spiritualità religiosa, confinata ed oppressa dal razionalismo settecentesco.
Nel 1830 Friedrich scrisse: “Chiudi il tuo occhio fisico, così che tu possa vedere il quadro con l’occhio dello spirito. Poi porta alla luce del giorno ciò che hai visto nell’oscurità, così che possa reagire con gli altri, dall’esterno verso l’interno”.


Il naufragio della Speranza” o “Il mare di ghiaccio” (1832, olio su tela, 73,5 x 102,5 cm, Berlino) è un dipinto di soggetto nazionalistico, realizzato su commissione.
Tra le lastre di ghiaccio che svettano verso l’alto, si intravede una nave incagliata e si può intuire il dramma, ormai giunto a conclusione, di coloro che vi sono rimasti intrappolati.
La tragedia si è elevata, in questo caso, fino a toccare il sublime. La natura, infatti, si è scatenata con tutta la sua forza contro l’uomo, il quale può solo rendersi conto della propria impotenza di fronte ad essa.
Il contrasto luminoso creato dal rosso della luce che si riflette sui ghiacci, accentua ulteriormente il senso tragico e terrificante che pervade quest’opera.
“Il naufragio della Speranza”, molto probabilmente, rappresenta la speranza di unificare i territori tedeschi, che ormai sembra essere naufragata.

Pubblicato su UNO PROVOCATORIO

Harvie Krumpet - Cortometraggio Oscar 2004

Questo corto è stato realizzato da Adam Elliot nel 2004 e in quell'anno ha vinto l'oscar come miglior corto animato. Di seguito trovate la parte 2 e 3. E' davvero bello!! Buona visione.

lunedì 28 aprile 2008

I Macchiaioli



In riferimento all'articolo sulla mostra di Taragoni, colgo l'occasione per parlare dei Macchiaioli (che vedete nella foto in posa gogliardica). La "scuola" dei Macchiaioli, nata nel 1856, è uno dei movimenti artistici più importanti del panorama italiano e anche internazionale di fine Ottocento. Il termine è stato coniato in senso dispregiativo perchè questi pittori erano delle personalità anticonformiste, fuori dagli schemi, rifiutavano le regole accademiche e rivendicavano la propria libertà artistica. La "sede" di questa "scuola" (che altro non era se non una comunità di giovani talenti legati dall'amicizia e dagli intenti) era una saletta del Caffè Michelangelo a Firenze nella quale, in un clima fremente ed irrequieto, tra una bevuta e una chiaccherata, questi artisti teorizzavano una nuova filosofia di pittura, scambiandosi impressioni e stimoli l'uno con l'altro. La loro poetica era in contrasto con Romanticismo o Neoclassicismo, era piuttosto legata ad una forma di Verismo; una pittura a stretto contatto con la realtà. I Macchiaioli affermavano che la forma non esiste, tutto è creato dalla luce e viene percepito dall'occhio umano attraverso il colore. Per questo motivo il mondo, la natura, vanno rappresentati sulla tela con macchie di colore, ora distinte ora sovrapposte ad altre macchie. Certamente il quadro deve rappresentare alla fine la forma che sta davanti agli occhi del pittore (non stiamo parlando di arte astratta), ma il modo di dipingere è quanto mai innovativo. Inevitabile notare l'affinità con i colleghi impressionisti (frequenti furono le visite di questi artisti a Parigi); probabilmente le due scuole si sono vicendevolmente influenzate essendo nate nello stesso periodo. Ai Macchiaioli va il merito di aver portato la pittura fuori dalle stanze delle accademie, l'atto creativo a diretto contatto con la natura, en plein air direbbero i francesi.







Silvestro Lega Il pergolato













Giovanni Fattori Il riposo










Telemaco Signorini La toilette del mattino

sabato 26 aprile 2008

Artisti Vari - Encores, Legends & Paradox: An Emerson, Lake & Palmer Tribute CD



Artisti Vari - Encores, Legends & Paradox: An Emerson, Lake & Palmer Tribute CD (1999)

Genere Progressive Rock

Molti artisti componenti di band di fama mondiale (tra cui Dream Theatre e Magellan) riarrangiano alcune imperdibili canzoni dei leggendari ELP (gruppo progressive rock inglese).
Non si tratta di un album di covers vero e proprio, ma di un tributo originalissimo in cui le canzoni sono molto spesso parecchio diverse dalle originali, a volte forse quasi migliori...
Atmosfere molto raffinate, con elettronica sempre al massimo livello e sonorità artificiali originalissime e mai ripetitive, e nel prog non sempre è facile.
Tracce da non perdere: Karn Evil 9 1st Impression, The Endless Enigma e ovviamente Tarkus, un evergreen degli ELP.



Tracce
1. Karn Evil 9 1st. Impression (8:51)
2. Bitches Crystal (4:41)
3. Toccata [Adaptation of Alberto Ginastera's 1st Piano Concerto, 4th Movement] (8:07)
4. Knife Edge [adapted from Janacek's Sinfonietta] (5:20)
5. A Time and a Place (6:14)
6. Hoedown [taken from Rodeo by Aaron Copeland] (3:46)
7. The Sheriff (5:57)
8. The Endless Enigma (10:18)
9. The Barbarian [adapted from Bela Bartok's Allego Barbaro] (4:44)
10. Tarkus (6:45)

Artisti
- Robert Berry / bass (1, 4, 6, 9, 10), guitar (1, 9), vocals (1)
- Trent Gardner / keyboards (2, 3, 5, 7, 8), vocals (7, 8)
- Wayne Gardner / bass (2, 3, 5, 7, 8), acoustic guitar (7)
- Simon Phillips / drums (1, 4, 6, 9, 10)
- Marc Bonilla / guitar (4, 6, 10)
- Jordan Rudess / keyboards (1, 6)
- Pat Mastelotto / percussion (2, 3)
- John Wetton / vocals (2, 7)
- Igor Khoroshev / piano (2), keyboards (9)
- Peter Banks / guitars (3, 7)
- James LaBrie / vocals (5, 10)
- Mike Portnoy / drums (7, 8)
- Mark Wood / violin (1)
- Matt Guillory / synthesizer (3)
- Glenn Hughes / vocals (4)
- Erik Norlander / keyboards (4)
- Doane Perry / drums (5)
- Martin Barre / guitars (5)
- John Novello / organ (5)
- Jerry Goodman / violin (6)
- Mark Robertson / Hammond (7)
- Geoff Downes / synthesizer (8 lead solo in outro)
- Derek Sherinian / keyboards (10)

Durata 64 Minuti 43 Secondi
Etichetta Magna Charta

mercoledì 23 aprile 2008

Mario Taragoni: la collezione in mostra a Venezia

L’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti di Venezia e Arthemisia dedicano al collezionista genovese, Mario Taragoni, una mostra che offre l’opportunità di vedere riunita, per la prima volta in modo completo, la collezione di dipinti dell’Ottocento toscano.

Finanziere, economista, grande collezionista d’arte, uomo di cultura, appassionato della pittura toscana e sostenitore dei valori del Risorgimento italiano, Mario Taragoni raccoglie nel periodo compreso tra le due Guerre, ma soprattutto nel Secondo Dopoguerra, una collezione di dipinti dei Macchiaioli assolutamente straordinaria.
Grazie a questa mostra si possono oggi ammirare dipinti celebri dei macchiaioli non presenti in esposizioni pubbliche da anni, tra gli altri: Ritratto di Signora; Donna con scialle rosa; La signora Clementina Bandini con le figlie a Poggiopiano di Silvestro Lega; La preghiera della sera; Tempo di pioggia; la Gramignaia e Sosta dei Lancieri di Giovanni Fattori; Il Ghetto di Firenze di Telemaco Signorini; Cappello di paglia di Armando Spadini; Vele al sole di Mario Puccini e numerosi altri capolavori dell’ottocento toscano.

martedì 22 aprile 2008

Dstrukt Showreel 2006: La nuova arte digitale

Il video mostra la nuova frontiera dell'arte grafica. Il motore software di Dstrukt permette di fare animazioni impensabili ricreando mondi e situazioni surreali. Nel video trovate il portfolio Dstrukt del 2006! Buona visione

lunedì 21 aprile 2008

Donne e pittura: Tamara de Lempicka



La pittura non è prerogativa solo di noi uomini. Le donne pittrici sono meno famose, inferiori in numero ma certamente non in talento e sensibilità. Un esempio è proprio la pittrice polacca Tamara de Lempicka, vissuta tra il 1898 e il 1980. Di origini aristocratiche ha vissuto in Polonia, poi a Parigi e all'inizio della seconda guerra si è trasferita negli USA, in California e successivamente a New York. All'inizio della sua carriera ha dovuto firmare alcune opere con un nome maschile. Donna dalla forte personalità, affascinata dalla femminilità (anche mentre era sposata ha avuto diverse relazioni con altre donne) ha conosciuto Marinetti (una sera in un locale parigino avevano progettato di incendiare il Louvre) e D'Annunzio. Frequentatrice di party mondani, dotata di grande slancio vitale, ma anche di periodi di grande depressione; nei suoi quadri (riconducibili all'Art Decò) vengono mostrati la vita, le personalità, la moda degli anni '30. Tamara ha uno stile molto particolare che ricorda i cubisti o lo stesso Cezanne; il disegno è molto curato, con linee precise, dirette; le forme sono plastiche, dalle curve semplici; i colori splendono per la loro vivacità, denotando una spiccata sensibilità e un'arte tutt'altro che fredda. Abile ritrattista, soprattutto di donne (notate come "descrive" le mani femminili), le sue figure non sono realistiche anche se molto definite, sono allucinate e morbide e paiono quasi uscire dalla tela. Insomma una grande pittrice, che non ha nulla da invidiare ai colleghi maschietti, anzi...





domenica 20 aprile 2008

Dave Gahan - Hourglass













Dave Gahan - Hourglass (2007)

Genere Pop Elettronico

Secondo lavoro solista per il frontman dei Depeche Mode dopo "Paper Monsters".
Disco assolutamente aperto alla sperimentazione musicale, con tracce molto diverse tra loro che esplorano vari generi, ma sempre in chiave elettronica, come del resto fanno i Depeche Mode.
Disco non proprio personalissimo in realtà, ma comunque molto originale e incisivamente modernissimo in molte melodie e atmosfere, e ultimamente non è cosa da poco.
Tracce da non perdere: Kingdom (che è anche il primo singolo) e A Little Lie.

Tracce:
1. Saw something - 5:14
2. Kingdom - 4:34
3. Deeper and deeper - 4:34
4. 21 days - 4:35
5. Miracles - 4:38
6. Use you - 4:48
7. Insoluble - 4:57
8. Endless - 5:47
9. A little lie - 4:53
10. Down - 4:34

Durata 48 minuti e 34 secondi
Etichetta EMI

sabato 19 aprile 2008

Il Superuomo di D'Annunzio: Interpretazione dannunziana di Nietzsche e Romanzi del superuomo

D’Annunzio riprende il pensiero di Nietzsche, ignorando la critica che il filosofo attua nei confronti dell’ideologia, la quale tende ad inquadrare la realtà all’interno di schemi rigidi formati da presunte verità, e, invece, ne esalta l’aspetto vitalistico, attraverso l’esaltazione della volontà dipotenza (impulso fondamentale della vita), e l’aspetto dionisiaco, che ci spinge ad immergerci nel caos della vita stessa. L’estetismo si fonde con il bellicismo, che non ha più solamente motivazioni nazionalistiche, ma, diventa celebrazione della violenza e della strage.


Nelle opere del superuomo dannunziano, l’esteta unisce, così, il culto della forza a quello della bellezza, trasformandosi da dandy in superuomo.


Nel romanzo “Le Vergini delle rocce”, il protagonista, Claudio Cantelmo, è alla ricerca di una donna degna di lui, con cui dare vita ad un figlio, che sia il futuro Re di Roma ed il capostipite di una razza superiore.
L’arte, in particolare la poesia, viene concepita come strumento per difendere la Bellezza, possibile solo in una società elitaria, dalla meschinità della democrazia borghese e dall’arroganza delle plebi (la “Gran Bestia”).
D’Annunzio mantiene, perciò, le stesse posizioni che aveva assunto nell’articolo “La Bestia elettiva” (25-26 settembre 1892) che scrisse per Il Mattino. Nel quale, attacca il suffragio universale sostenendo che “è stato inventato con straordinaria accortezza per spogliare le plebi dei propri diritti” e disprezza le plebi affermando che “resteranno sempre schiave e destinate a soffrire”.
Ovviamente, il romanzo riceve il nome dalla celebre opera di Leonardo, pensato dall’autore come l’eroe rinascimentale per eccellenza, in cui trovano sintesi pensiero e azione, vita e arte.

Nel romanzo “Il Fuoco”, il protagonista, Stelio Effrena, ha superato i dubbi che aveva Andrea Spirelli ne “Il Piacere”, il quale nel tentativo di “fare la propria vita come un’opera d’arte” si era scontrato con una società di massa che al valore qualitativo della Bellezza aveva preferito quello quantitativo del profitto.
Qui, invece, l’artista diviene in grado di imporsi sulle masse attraverso la manipolazione culturale e la creazione di nuovi modelli di vita.

La ricerca dell’onnipotenza dell’io, però, deve scontare anche il rischio della vanità dello sforzo e della sconfitta.
Nel “Forse che sì forse che no”, ad esempio, il protagonista troverà il riscatto e la gloria grazie ad un eroico volo aereo. La macchina diviene, in tal modo, il mezzo che consente al superuomo la sua affermazione.

In definitiva il superuomo dannunziano piega l’intero mondo che lo circonda (la donna, le macchine, la natura,..) al proprio progetto di affermazione.

Pubblicato su UNO PROVOCATORIO

Bibliografia:
- “Il piacere”, Gabriele D’Annunzio, Classici Moderni Oscar Mondadori

- “Le vergini nelle rocce”, Gabriele D’Annunzio, Oscar Mondadori
- “Linea di una bibliografia italiana su Nietzsche”, a cura di Roberta Amà e Donatella Cervi
- Tratto e liberamente rielaborato da “Il mito del super uomo”, La scrittura e l’interpretazione - Volume 3, G. B. Palumbo Editore, 2000
- Storia e antologia della filosofia – Ottocento e Novecento, Editori Laterza, 2000

giovedì 17 aprile 2008

Arte Digitale

Negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede una nuova forma d’arte definita “arte digitale” o “net art”. Da come si può capire questo genere d’arte si è sviluppato attraverso l’innovazione tecnologica dei computer e della sempre più estesa informatizzazione della vita quotidiana. Infatti sembra logico che anche l’arte abbia subito l’influsso del computer e di tutti quei programmi che permetto di creare, modificare immagini: la grafica tridimensionale viene creata attraverso il processo di disegnare immagini complesse a partire da forme geometriche, poligoni o NURBS, per creare forme tridimensionali realistiche, oggetti e scene utilizzabili in diversi media, come film, televisione, stampe ed effetti speciali visivi, l’arte frattale è creata completamente attraverso il computer che genera l’immagine attraverso un funzione molto complessa; il foto ritocco è attualmente molto utilizzata in fase di post-produzione dai fotografi oppure attraverso il fotomontaggio per generare effetti e creazioni nuovissime e mai immaginate; infine l’immagine può essere acquisita attraverso il mouse o la tavoletta grafica per poi essere elaborata.
Purtroppo questa forma d’arte non ancora è così conosciuta, non solo dai fruitori occasionali d’arte, ma anche dagli esperti, che in molti casi la bistrattano o la ritengono un “gioco” e non degna di entrare a fare parte dell’“ARTE” nel senso classico della parola. Fortunatamente questa si sta facendo conoscere attraverso internet, l’ambiente ideale dove pubblicare immagini, video e grafica di vario genere. Ultimamente si sta cercando di portarla anche all’interno dei musei installando monitor su cui visualizzare le opere.
In questo video potete vedere degli esempi e capirne le potezialità!

link:
http://www.artedigitale.net/
http://www.immaginaria.net/sezione.php/id/38

mercoledì 16 aprile 2008

L’ultimo Tiziano e la sensualità della pittura

Alle Gallerie dell'Accademia ritornano Tiziano e la sua produzione tarda. Un tema che era già stato affrontato recentemente a Belluno nell'esposizione Tiziano ultimo alto. La prospettiva scelta a Venezia è radicalmente diversa, senza particolare interesse per l'attività della bottega e dei collaboratori. Qui lo scopo è offrire un gruppo di opere rappresentativo della grandezza di Tiziano, che ci faccia percepire perché egli rappresenti uno dei grandi maestri di ogni tempo.
Intorno alla metà del Cinquecento, già quasi sessantenne, Tiziano scopre un nuovo modo di dipingere: il colore si stende veloce e libero sulla tela e si sovrappone in corpose pennellate, le forme si scompongono, si accentua una grande sensualità e contemporaneamente una profonda spiritualità. Con una tecnica straordinariamente anticipatrice, crea una pittura teatrale che emoziona e per certi aspetti sembra legarsi all’opera del Tasso e agli scritti di Ariosto pubblicati negli anni ’30 del Cinquecento proprio a Venezia.
Le Gallerie dell’Accademia di Venezia posseggono l’ultima opera di Tiziano “La Pietà”, un grande ex voto contro l’epidemia che infuriava nell’anno della sua morte, che rappresenta forse il momento più alto di quella tecnica e di quella stagione artistica.
Il percorso espositivo è articolato in tre sezioni dedicate ai ritratti, ai temi profani e alla pittura sacra, che manifesta chiaramente il titanico impegno di Tiziano attraverso il racconto che queste opere propongono al visitatore.
E le immagini proseguono oltre la mostra, nelle collezioni permanenti delle Gallerie dell’Accademia, dove si incontrano i contemporanei, e il paragone con i capolavori di Giorgione, Veronese e Tintoretto diventa anche motivo per amplificare ed esaltare la novità del messaggio tizianesco.

Gallerie dell'Accademia di Venezia,
Campo della Carità
Dorsoduro 1050
30130 Venezia
prorogata fino al 5 maggio
lunedì 8.15-14.00 , da martedì a domenica 8.15-19.15
Per prenotazioni telefoniche:
da lunedì a venerdì ore 9.00-18.00
sabato ore 9.00-14.00
Tel 041 520033345 – 199.199.100
Ingresso intero: € 10
Ingresso ridotto: € 7
www.ultimotiziano.it

martedì 15 aprile 2008

Sculture sonore suonate dal vento

Ho trovato questo interessante video su un nuovo modo di concepire la scultura. La fusione fra materiale, suono e natura. Questa strana creazione infatti suona con il soffio del vento. Il suo suono è perpetuo e assolutamente incontrollabile dalle persone. Soffia una melodia un po cupa ma è davvero suggestiva. Questa frontiera di arte la trovo molto interessante, in particolare ciò che mi esalta è la fusione delle tipologie apparentemente diverse di creazione. Quando la natura suona ciò che la terrà da e che l'uomo plasma in un circolo armonico perpetuo e incessante come il soffiare del vento.

lunedì 14 aprile 2008

Edgar Lee Masters


Probabilmente Edgar Lee Masters verrà ricordato come lo scrittore di un solo libro: la "Antologia di Spoon River", pubblicata in Italia per volere di Pavese solo nel 1943 (ma uscita negli USA nel 1915) e famosa per l'album del cantautore Fabrizio de Andrè "Non al denaro, non all'amore nè al cielo" liberamente ispirato all'opera dello scrittore americano.
Masters ha sempre scritto poesie fin da bambino, ma ha dovuto conciliare questa sua passione con i suoi problemi economici: ha svolto svariati lavori, prima col padre, poi cercando fortuna a Chicago come giornalista, esattore ed infine in uno studio legale. Come scrittore non ha mai avuto fortuna fino al 1914, l'anno di grazia nel quale scriverà le 244 poesie dell'Antolgia. Un anno di ispirazione e poesia incastonato in una vita da avvocato.

Come detto l'opera è costituita di 243 poesie più La collina che funge da prologo. L'idea alla base dell'Antologia è geniale: in ogni poesia una delle centinaia di persone sepolte sulla collina in riva al fiume parla dall'aldilà, si racconta e si svela come mai aveva fatto nella vita. Così veniamo a sapere, grazie alla voce dei morti che soffia dalle lapidi, di ciascuno la storia, il momento del trapasso, i dolori e i rimpianti. Ogni poesia diventa un epigrafe cantata con uno stile rozzo, a volte poco musicale, ma sempre efficace (consiglio di leggerla anche in lingua originale). Masters ci regala un incredibile omaggio alla vita: tutti i morti sono profondamente legati a ciò che è successo loro, ricordano situazioni, paesaggi, un gesto, un'emozione e tutto assume i contorni della sacralità perchè inchiodato all'attimo decisivo della morte. Lo scrittore americano ci offre un esemplare catalogo di personalità che attraverso la loro voce ci descrivono anche la vita del paese. Veniamo così a conoscenza della corruzione, delle invidie, dei soprusi di Spoon River. Il paese diventa allegoria del mondo in generale e l'Antolgia si veste di una funzione etica. Ma quello che più rimane di questo capolavoro è la voce stessa dei morti, la voglia di raccontare a chi passeggia tra queste lapidi, con una manciata di versi, una vita intera. Per ricordare, per non dimenticare tutti quelli che "...dormono, dormono sulla collina."

sabato 12 aprile 2008

Alan Parsons Project - The Turn of a Friendly Card


Alan Parsons Project - The Turn of a Friendly Card (1980)

Genere Progressive Rock

Concept album incentrato sul gioco d'azzardo: racconta alcuni episodi della vita di un uomo che sfida la fortuna al casinò e si gioca tutto, perdendo tutto.
Come sempre un grande lavoro degli APP, maestri del prog anni 70 e 80, con melodie molto ad effetto e testi ricercati, che fanno capire molto bene il dramma che il protagonista sta vivendo. Album da ascoltare attentamente più volte, non da mettere distattamente mentre si va in macchina.
Tracce da ascoltare: Games People Play, Time e The Turn of a Friendly Card (part 1 e 2).

Tracce:
1. May Be a Price to Pay - 4:58
2. Games People Play - 4:22
3. Time - 5:04
4. I Don't Wanna Go Home - 5:03
5. The Gold Bug - 4:34
6. The Turn of a Friendly Card (part one) - 2:44
7. Snake Eyes - 3:14
8. The Ace of Swords - 2:57
9. Nothing Left to Lose - 4:07
10. The Turn of a Friendly Card (part two) - 3:22

Durata 40 Minuti e 32 Secondi
Etichetta Arista

lunedì 7 aprile 2008

Carlito's way Sesso soldi e finti paradisi.


Per gli amanti del cinema Poliziesco voglio spolverare questa "vecchia" (1993) chicca di Brian De Palma con un grande Al Pacino affiancato dal superlativo Sean Penn. Carlito's Way racconta la storia di Carlos Brigante, un malavitoso portoricano della Harlem ispanica e superviolenta dell'East River, e il suo cammino nel tentativo di cambiare vita.

Carlos ritorna dopo cinque anni di prigione nei luoghi in cui aveva dominato da gangster per tutta la sua giovinezza con un unica volontà: quella di cambiare vita al più presto possibile. Al suo ritorno ritrova una Harlem molto diversa in cui giovani teppistelli "senza onore" ultimi arrivati si atteggiano a grandi boss, ovunque si può fiutare l'effetto di un vento di cambiamento. Carlos è quasi un estraneo ormai un eroe dei tempi che furono. Il suo volere cambiare è tanto fuori luogo che deve tenerlo nascosto, l'unica cosa a cui pensare è accumulare i soldi necessari per fuggire su una lontana spiaggia "paradiso" con la sua amata compagna, lontano da omicidi spaccio prostitute e prepotenze scontate in ogni momento. La sua presenza nel quartiere non genera più il senso di rispetto che un tempo tutti provavano vedendolo passare, il suo "curriculum" è appena sufficiente a garantirgli una sopravvivenza seppur momentanea.
Ma a Carlos non interessa nulla di tutto ciò, egli vive nell'attesa di raggiungere la tanto sognata cifra senza immischiarsi in affari di nessun tipo.
Purtroppo come accade spesso non basta la volontà. Il destino avverso giocherà un cattivo tiro a Carlos.

Uno splendido film narrato tutto in flashback , un susseguirsi di eventi che forniscono un'accurata panoramica sulla delinquenza e sulla corruzione dei sobborghi newyorchesi (ma anche dei piani alti, basta ricordare la figura dell'avvocato miliardario cocainomane amico di Carlos). Harlem è come un inferno da cui non si scappa, chi ci prova viene annientato. Durante tutto il film si percepisce un senso di nostalgia per la cara vecchia mafia degli anni precedenti. A mio parere De Palma non vuole ovviamente spezzare una lancia a favore della passata scuola criminale ma solamente ricordare come quella sia stata davvero una scuola di cui i nuovi criminali erano allora studenti.
Osservando con attenzione e senso critico non vediamo altro che una realtà degradata ma che in fin dei conti è il prodotto della precedente di cui Carlos era un eroe. Se il protagonista guarda con occhio scettico i nuovi criminali per la loro arroganza non può dimenticare di non essere un santo, è semplicemente uno di loro (forse con maggiore senso dell' "onore" criminale tanto caro alla vecchia scuola) che tenta di scappare dal suo passato.
Dopo tutto, il mondo in cui ritorna Carlos è sempre lo stesso che aveva abbandonato cinque anni prima con la differenza che adesso nessuno ha bisogno di lui. E lui lo sa.
Finalmente capiamo in cosa consisteva il suo eroismo di un tempo: nel potere, come in ogni storia mafiosa che si rispetti.
Carlos ha sicuramente capito tutto questo e la sua apparente nostalgia per il mondo e il rispetto di allora è solo di facciata. Nel profondo ciò che vuole è la fuga verso il paradiso, forse nemmeno tanto delle Bahamas, ma nel senso stretto del termine: il riposo eterno.
A prima vista sembrerebbe che Brian De Palma voglia lasciarci con un semplice finale triste , privo di speranza, un finale che sarebbe tutto sommato adeguato al film e alla società in esso ritratto.
Ma credo che non sia così. Il significato di Carlito's Way è molto più profondo.
In un sobborgo violento e corrotto come Harlem c'è chi riesce a fuggire pur pagando la sua pena.
A mio parere il finale arriva come una benedizione per il protagonista, un espiazione dai peccati commessi in gioventù, tanto feroci e che una semplice gita "ai tropici" non avrebbe potuto certo lavare
Ben altra è la meta e per capirlo è necessario un colpo di pistola a bruciapelo alle spalle sparato da un vile killer. Questo è informato dall'amico di sempre di Carlos trasformatosi in giuda dopo avere appreso della volontà del protagonista di volere fuggire altrove.
Il killer non si ferma e uccide anche il giuda accanto a Carlito. Le due morti sono così vicine ma enormemente distanti fra loro: una rappresenta un'arrivo alla fine, alla stazione dell'inferno Harlem, quella del protagonista invece una fuga, per il paradiso.
Proprio come sussurra la frase sul cartellone in ultima immagine "ESCAPE TO PARADISE".
Non dimentichiamo poi che un' altra persona fugge da quel mondo criminale: l'amata di Carlos. Ed è incinta!
Ecco allora la conclusione della mia tesi. Carlos Brigante ottiene ciò che desidera, la sua fuga per la rinascita, anche se non nel modo in cui immaginava. Alla sua morte trova quel paradiso che tanto cercava nella consapevolezza di avere dato un atto di amore sincero e concreto, alla donna che ha amato: il figlio.
Un nuovo e migliore Carlos Brigante che grazie alla combattuta redenzione del padre vivrà in un posto migliore sicuramente meno malavitoso e corrotto.
Carlito certo di avere fatto il dovuto per l'amata e per il figlio può finalmente trovare il suo paradiso, quello reale e che in fondo sapeva di cercare dall'inizio.
"...sono stanco...sono stanco...." dice e se ne va.
Solo grazie ad una regia così accurata riusciamo a capire che la rivoluzione interna di Carlito è finalmente arrivata.
Credo che De Palma riassuma il succo del film, quel Carlito's Way, nell'inquadratura stupenda finale in cui il punto di osservazione ruota di 180° dal modo di vedere della gente al punto di vista di Carlos sulla barella in procinto di raggiungere la pace.
Il modo di usare la camera in quel momento è l'elemento che da solo mette in chiaro tutto il film: è simbolo concreto che Carlos per potere fuggire deve cambiare la prospettiva: non può più stare tra la gente, la sua deve essere una rottura netta.
Quella saggia rotazione che superficialmente serve a riportare la narrazione dal flashback al presente, in realtà è di più: essa stessa è la rivoluzione al cambiamento di Carlos, è la fine della maledizione.
Ora Carlos ha uno sguardo diverso, sta comprendendo come la sua salvezza sia su una barella; finalmente può riflettere osservando tutti da un altro posto, ha gia lo sguardo in paradiso.

Pubblicato su Antonio La trippa

Arte del Sogno di Gondry: recensione

Ho deciso di arricchire il blog di una importante materia che studio all'università...il cinema.....E' assurdo infatti che il blog di un ragazzo che studia cinema..non abbia nemmeno un articolo a riguardo.
Ecco il primo....L'arte del sogno di Gondry:una breve recensione....






TITOLO ORIGINALE
The Science of Sleep
NAZIONE
Francia
GENERE
Commedia, Drammatico
DURATA
105 min. (colore)
DATA DI USCITA
19 Gennaio 2007

REGIA
Michel Gondry
SCENEGGIATURA
Michel Gondry
DISTRIBUZIONE
Mikado
SHOP

PROTAGONISTI
Gael García Bernal
Charlotte Gainsbourg
Jean-Michel Bernard
Emma de Caunes
Alain Chabat
Miou-Miou
Aurélia Petit
Pierre Vaneck

Labile è il confine tra sogno e realtà per Stephane, un giovane sognatore inventore creativo, che ritorna nella casa materna dopo anni vissuti in Messico prima della morte del padre. Il giovane soffre di un disturbo percettivo e continuamente mescola reale ad onirico. Il disturbo si accentua al ritorno nella casa dove ha vissuto la sua giovinezza, Stephane diventa incontrollabile. Il suo modo di comportarsi è profondamente in contrasto con le necessità (imposizioni per meglio dire) della vita reale quali lavoro, rapporti familiari etc etc.
Se ne accorge subito Stephanie, musicista sognatrice eterna bambina, a cui il modo di fare del vicino di casa piace molto essendo con lei compatibile in tutto e per tutto. Come è bello passare il tempo nelle fiabe, tutto prende le sembianze di una realtà meravigliosa in cui cavalli di pezza prendono vita e si abbeverano in rigagnoli di cellophane.
Stephane finisce per innamorarsi della dolce vicina. Dio li fa e poi li accoppia verrebbe da pensare. Tutto giusto ma come si sa se gli opposti si attraggono gli uguali si respingono.
Stephane non può superare l'eterno blocco di dichiarare il proprio amore, percepisce sempre rifiuti ( del tutto immaginari e intrisi di allucinazione) stravolgendo continuamente il reale. Stephanie dopotutto immersa nel suo complesso fanciullesco non vuole uomini ma crede che tutti i sentimenti si debbano tessere come in una splendida fiaba; può al massimo comportarsi da mamma amica (la scena in cui accarezza i capelli di lui che dorme). Il loro amore non può nascere se non in un mondo di sogno, lontano dalla realtà, magari su una barca di stoffa con una foresta sopra, navigando chissà dove fra le onde di cellophane.
Gondry ci permette di fare capolino in un mondo parallelo al nostro, un mondo di fiabe ma che per esistere deve servirsi di elementi reali (tutte le scene di "sogno" hanno sempre a che fare con ricordi reali dopotutto).Confuse sono le situazioni della vita di tutti i giorni, sembrano prive di ogni importanza al cospetto della poesia onirica di incessante potenza della mente; eppure talvolta il reale non è poi peggiore del sogno. Tutto ciò che nella realtà crediamo sia importante altro non fa che incatenare sempre più la nostra mente impedendole di esprimersi e mostrare ciò che vorremmo essere.A riguardo forte è l'influsso del pensiero surrealista Bretoniano: L'uomo, che era sognatore, ha perso la capacità di immaginare accettando di lavorare per vivere, ma è scontento. (A Breton).
Gondry con estrema sensibilità traspone tutto questo in situazioni oniriche in cui ci si sente amichevolmente accolti; l'uso della camera a mano ha una particolare efficacia di tramite verso realtà parallele del pensiero. Questo tipo di ripresa si rivela ottima e anche nel mostrarci i continui cambiamenti di umore dei personaggi nei momenti cruciali della loro relazione. Si alternano tenerezza e angoscia, amore e frustrazione, poesia e rabbia. Il messaggio di Gondry e legato ad una continua alternanza.
Non sempre la realtà che la nostra mente crea è idilliaca, armonica, poetica, amichevole e rilassante. Non sempre ciò che viviamo nel sonno è migliore del reale, talvolta affoghiamo nell'angoscia più totale e il risveglio ci da un sollievo particolare, paradossalmente facendoci fuggire nella realtà diversa e amica.
La nostra vita è un insieme di sogno e veglia. Angoscie e paure più o meno reali si mescolano con percezioni di calma poesia e armonia in tutto ciò che facciamo. Ciò che abbiamo davanti agli occhi nella veglia non è il reale ma una particolare revisione di esso. Parimenti il sogno è il risultato di un filtraggio, rielaborato ancora e ancora fino a casi di allucinazione. Il risultato di questa continua mescolanza è talmente concreto da riuscire a forgiare le nostre personalità.
Stephane è l'esempio estremo di tutto questo. Quando il sonno lo coglie all'improvviso egli non fa altro che iniziare un processo di revisione dell'attimo reale. Lo stesso momento, percepito diversamente e influenzato dal suo flusso di coscienza in modo così potente da diventare allucinazione. Ciò che avviene in ognuno di noi in forma molto più moderata non appena facciamo supposizioni su delle situazioni o giudizi di su persone. Non facciamo altro che interpretare mentalmente la realtà; certo non arriviamo all'allucinazione (ma dopotutto quello di Stephane è uno stato patologico) fermandoci ad uno stadio diverso che tuttavia non ci nega di potere iniziare a filtrare elementi che sedimenteranno all'interno di noi e si ripresenteranno puntualmente a livello inconscio senza il nostro controllo.
L'arte del sogno è l'arte dell'interpretazione, l'arte di modellare semplici oggetti come stupendi feticci a immagine di sensazioni e turbamenti, è l'arte del momento presente che sfuma lasciando frammenti di polvere di sentimenti, nutrimento costante di ciò che è e non esiste.

articolo pubblicato su Antonio la trippa

giovedì 27 marzo 2008

Recensione di INTO THE WILD: Un film toccante e meditativo

Tratto dal best seller "Nelle terre estreme" di Jon Krakauer, il film racconta una storia vera, quella di un giovane laureato e benestante, Christopher McCandless, che abbandona la sua vita per cominciare una meravigliosa avventura alla ricerca della libertà, dell’uomo e di se stesso.

Regista e sceneggiatore è il grande Sean Penn, il quale dovette attendere dieci anni per ottenerne i diritti.



Il padre di Christofer McCandless è un ex ingegnere della NASA, mentre, la madre, più scaltra negli affari, gestisce le consulenze del padre. Dietro l’apparente normalità di questa famiglia benestante e perbenista, però, si celano numerosi segreti.

E’ una famiglia moderna, che si regge su apparenze e falsità, e, che, ormai, il moralista Christofer non riesce più a sopportare.


Dopo la laurea, nel 1990, Christofer McCandless decide di cominciare una nuova vita e di tagliare i ponti con il suo passato. Lui non vuole “cose”, non vuole un’automobile nuova, non vuole avere venticinquemila dollari sul conto vuole altro.


Si libera, così, della propria identità, distruggendo ogni documento che possa far risalire ad essa, e, si farà chiamare con lo pseudonimo di Alexander Supertramp.

Si slega completamente dalla propria famiglia, facendo perdere ogni traccia di sé durante gli anni successivi.

Ripudierà il denaro, che ha soggiogato la società e che determina gli stili, i ritmi e gli scopi della nostra vita. Lavorerà, quindi, saltuariamente, solo per ottenere il denaro necessario ad acquistare le attrezzature per il suo lunghissimo viaggio.

Abbandonerà la sua automobile in mezzo al deserto, affidandosi, da questo momento in poi all’autostop e a dei mezzi di fortuna (dai vagoni dei treni alla canoa). Ora, è un trampoliere, un pellegrino moderno, che si sposta prevalentemente a piedi con lo zaino in spalla, lungo tutti gli Stati Uniti, verso nuove mete spirituali.


Durante il suo tragitto incontrerà nuovi amici, un contadino che gli insegnerà a cacciare la selvaggina, due hippy che lo aiuteranno e a cui Alexander riuscirà ad alleviare le sofferenze per la fuga del figlio, una cantautrice sedicenne che si innamorerà di lui ed un anziano, senza famigliari, a cui darà una ragione di vita, la sua: Nella vita quello che conta non è essere forti ma sentirsi forti e se vuoi qualcosa veramente datti da fare e prendila”.


Alla fine, raggiungerà la meta conclusiva del suo percorso, l’Alaska. Dove, tra monti e distese disabitate, l’eremita Alexander Supertramp, che non ama di meno gli uomini ma di più la natura, ha raggiunto la completa ed assoluta libertà.

Nell’ultimo atto del film, riuscirà a perdonare la propria famiglia ed arriverà all’ultima consapevolezza: “la felicità è reale solo se condivisa”.


Pubblicato su UNO PROVOCATORIO

venerdì 7 marzo 2008

Approfondimento su Arnaldo Pomodoro



Arnaldo Pomodoro

Arnaldo Pomodoro è uno tra gli scultori contemporanei italiani più conosciuto e stimato tanto in Italia, quanto all’estero. Basti pensare che le sue monumentali opere sono state installate nelle più famose piazze del mondo, da Roma a Dublino, da Los Angeles a Copenaghen. Si occupa inoltre di scenografie per spettacoli teatrali. Questo articolo si concentra sull’opera scultorea dell’artista (con frequenti citazioni per lasciare la parola a Pomodoro stesso) e traccia una biografia della vita.

La vita
Arnaldo Pomodoro nasce nel 1926 a Morciano di Romagna. Dopo pochi mesi la famiglia si sposta a Orciano di Pesaro, nelle Marche, dove Arnaldo trascorre l’infanzia. Successivamente si trasferisce a Rimini per proseguire gli studi. Frequenta la scuola media e poi l’istituto tecnico per geometri. Durante la guerra ritorna a Orciano. Si appassiona alla lettura di autori contemporanei italiani e stranieri, fra cui, in particolare, Vittorini, Pavese, Hemingway, Faulkner, Steinbeck, Fitzgerald. Conclusa la guerra, ottiene il diploma di geometra e si iscrive alla Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Bologna. Lavora al Genio Civile di Pesaro, con incarico di consulenza per la ricostruzione di edifici pubblici; continua questo lavoro fino al 1957. Frequenta anche l’Istituto d’Arte di Pesaro.
Nel ’53 partecipa a un concorso di scenografia promosso da A. G. Bragaglia e ottiene un premio. Visita la grande mostra di Picasso al Palazzo Reale di Milano e poi vi si trasferisce. A Milano stringe amicizia con molti artisti e uomini di cultura. Di questa esperienza milanese Pomodoro dice: “Devo dire che l’accoglienza a Milano fu molto positiva. Allora Milano era estremamente viva e vitale, con un’impronta europea e internazionale. È qui che cominciai a frequentare artisti e uomini di cultura (oltre a Fontana, Baj, Dangelo, Milani, Sanesi, Mulas…) e ad avere l’appoggio dei poeti e degli scrittori. Molto importante è stata la conoscenza con Fernanda Pivano e Ettore Sottsass: in casa loro ho avuto i primi incontri con gli americani. Così sono entrato in un mondo non solo milanese, ma internazionale.” [Nota: tutte le citazioni di questo articolo riferite a Pomodoro sono tratte da una splendida intervista di Sandro Parmiggiani che è stata fatta in occasione di una mostra a Palazzo Magnani (Reggio Emilia). Per chi volesse leggerla tutta, è reperibile sul sito www.palazzomagnani.it]. Prime mostre, insieme al fratello Giò, e invito alla Biennale di Venezia nel ‘56. Nel ‘58 espone a Colonia (Kölnischer Kunstverein), Düsseldorf (Galerie 22), Bruxelles (Galerie Helios Art). Un premio di studio del Ministero degli Affari Esteri gli consente il primo viaggio negli Stati Uniti nel 1959, a New York e San Francisco, dove organizza una mostra di artisti italiani con il titolo New work from Italy. Circa gli States Pomodoro dice: “Il desiderio di andare negli Stati Uniti era soprattutto motivato dalla grande curiosità di conoscere da vicino gli artisti americani, dopo che avevo visto alcune opere straordinarie portate in Italia da Peggy Guggenheim, e altre alle Biennali di Venezia e di Parigi.” A New York, infatti, incontra gli scultori David Smith e Louise Nevelson. Si forma nel ‘60 il “Gruppo Continuità” (Perilli, Novelli, Turcato, Dorazio, Arnaldo e Giò Pomodoro) per la ricerca astratta fra materia e segno. Giulio Carlo Argan e Guido Ballo organizzano le prime mostre del gruppo. In occasione del "Festival dei due mondi" di Spoleto, nel 1962, nella mostra di sculture nella città, presenta un'opera in ferro (un cilindro di m. 5.60 di altezza e cm. 60 di diametro) che segna il passaggio alla scultura volumetrica. Moltissime mostre in questi anni sparse in tutto il mondo. Realizza nel 1963 la sua prima sfera. Riceve il "Premio Internazionale per la Scultura" alla Biennale di San Paolo del Brasile. Nel 1964 ha una sala personale e il "Premio Nazionale di Scultura" alla XXXII Biennale di Venezia: qui, come a San Paolo, sono significative le sfere e i cilindri con perforazioni e lacerazioni interne. Nel 1966 la Stanford University lo invita come artist in residence. Fa amicizia con i poeti della generazione “Beat”, da Ginsberg a Corso. Sul finire degli anni ’70, con l’assistenza di Eleonora e Valter Rossi, realizza una serie di opere grafiche con tecniche varie di acquatinta e interventi a rilievo in calcografia. Nel 1979, su invito del Mills College di Oakland, California, riprende a insegnare negli Stati Uniti (fino al 1984). Per quanto riguarda l’insegnamento negli States dice: “Ho sempre considerato importante l’insegnamento, il rapporto con i giovani studenti, cercando di ristabilire il clima stimolante della bottega, dove insieme si può sperimentare e progettare.

Negli Stati Uniti il metodo di insegnamento nelle arti è diverso che in Europa: si lavora insieme ai giovani, che hanno un loro studio dentro l’università, si va a vedere cosa fanno, conversando e discutendo insieme innanzitutto dei problemi che riguardano la storia dell’arte e le diverse tecniche artistiche.” E sull’America in generale: “Ho conosciuto quasi tutti gli stati americani, anche quelli centrali. Certo ho avuto la fortuna di viverci nel periodo migliore. […]Per me l’America ha rappresentato un approccio non accademico e non-retorico all’arte. In America ci sono molti collezionisti che amano il mio lavoro e che non pensano solo all’investimento, come oggi purtroppo avviene un po’ dappertutto. Ora sento che c’è una sorta di sciovinismo. Ciononostante continuo a fare due o tre viaggi all’anno negli States, soprattutto a New York che rimane un grande ring dove ci si può confrontare, l’unico ring di cui non si può fare a meno – come una volta era Parigi.” Negli anni ’80 e ‘90 Pomodoro è ormai artista affermato, continuano le sue mostre in tutto il globo, la critica scrive libri su di lui e gli vengono anche commissionate grandi sculture per la Sudameris Bank di San Paolo del Brasile, ad esempio, e per la Berkeley Library del Trinity College dell’Università di Dublino e per il Mills College di Oakland. Dal 1990 dirige il Centro TAM (Trattamento Artistico dei Metalli) scuola di "perfezionamento" nella scultura, nel gioiello e nel design, istituita in collaborazione con il Comune di Pietrarubbia nel Montefeltro, con finanziamenti del Fondo Sociale Europeo e della Regione Marche. Nel ’92 il Trinity College dell’Università di Dublino gli conferisce la Laurea in Lettere honoris causa. In occasione del 50° anniversario dell'istituzione dell'Onu, a New York, nel piazzale delle Nazioni Unite, viene collocata, dono del Governo e del popolo italiano, l'opera Sfera con sfera di metri 3,30 di diametro. Gli viene conferita dal Presidente della Repubblica l'onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana”. Nel 1996 si costituisce la Fondazione Arnaldo Pomodoro e nel luglio 1997 il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali ne riconosce la personalità giuridica. Vengono inoltre completati, su progetto di P.L. Cerri, la ristrutturazione e l'allestimento dello spazio espositivo sito a Quinto Stampi (Rozzano, Milano), dove sono raccolte le opere della Fondazione.
Riguardo alla Fondazione: “Credo che l’artista non possa chiudersi in una torre d’avorio e anzi debba essere coinvolto e proiettato nella società: è un problema etico che ho sempre sentito. Da questa consapevolezza nasce l’idea di una mia Fondazione. […]. Sono state organizzate due importanti mostre dedicate alla scultura italiana del XX secolo e al lavoro di Gastone Novelli, oltre a diverse iniziative culturali. Ha avuto luogo la prima edizione di un premio internazionale biennale istituito per sostenere il lavoro e la ricerca dei giovani scultori. Mi sembra che sia stata intrapresa la strada giusta. Oggi è importante promuovere una migliore comprensione dell’arte contemporanea da parte del pubblico – insieme ad una formazione migliore per gli artisti futuri – e dare impulso alla vita culturale e al dibattito in corso. A tutto questo vuol corrispondere la Fondazione che, oltre a far conoscere il mio lavoro, ha il fine di diventare un laboratorio di idee e di iniziative, luogo di incontro e di esperienza per gli artisti e per tutti coloro che amano l’arte.”


L’arte
Arnaldo Pomodoro, come il fratello Giò, esordì come disegnatore, decoratore e artigiano. Le sue prime opere erano pezzi di oreficeria e piccole sculture in oro o argento. L’esperienza milanese è stata essenziale alla sua formazione: le prime sculture, a metà degli anni '50, sono rilievi modellati nel ferro, stagno, piombo, argento, cemento e bronzo. La sua scrittura è costituita da segni astratti. L'uso di questi materiali inediti testimonia la ricerca e la volontà di Pomodoro di sperimentare nuovi mezzi formali ed espressivi, per approdare, negli anni ’60 e’70, alla complessità ed alla monumentalità delle opere più importanti e famose. Come scrive Luciano Caprile: “Con Arnaldo Pomodoro il passato, il presente e il futuro s’incontrano in una rappresentazione che sorprende e intimorisce, come succede al cospetto dei misteri dell’assoluto. Le sculture si propongono nella loro seducente lucentezza e nella loro ambigua asprezza. Ambigua perché porta messaggi di immediata percezione visiva ma di difficile coniugazione mentale. Ambigua perché il desiderio del tatto si ferma al limite del dolore fisico nel percorrere un frammento, un piccolo tragitto di auspicabile eternità.” È proprio questa complessità che rende le opere di Pomodoro così affascinanti, il cercare il messaggio che la scultura sembra suggerirci: “Tutto in Pomodoro pare ineccepibile e precario, tutto sembra sul punto di rivelarsi o di sgretolarsi nell’oblio definitivo.”
Quando l’artista ha in mente l’opera, prima fa degli schizzi su carta, poi però deve mettere le mani nella terra per creare il giuoco di pieni e vuoti, luci e ombre come dice lui stesso: “Avevo già capito che la strada della pittura non mi era congeniale, mentre ero attratto dalla materia che avevo bisogno di toccare e di trasformare.” La ricerca dell’artista è anche uno sperimentare materiali e tecniche diverse. Parlando di una delle sculture più famose, La colonna del viaggiatore, Pomodoro dice: “ si tratta infatti della mia prima opera volumetrica in ferro colata a staffa, a differenza delle sculture che avevo realizzato in bronzo con il metodo della fusione a cera persa, che consente di scavare i diversi sottosquadri per creare ombre e giuochi di luce. Ero appunto all'Italsider di Lovere, in provincia di Bergamo, dove si fondevano le ruote dei treni e le eliche delle grandi navi da crociera della nostra flotta.
Ho sempre lavorato con l’argilla in negativo, usando coltelli e attrezzi che pigiavo sull’argilla per ottenere rientranze e sporgenze: mi trovai invece a dovere operare con una sabbia speciale che veniva dal Kenya, miscelata con olio, perché diventasse più compatta e solida, sulla quale comunque era molto difficile lavorare. La colonna fu fusa in quattro pezzi, poi saldati tra di loro. Fu un’esperienza emozionante e stimolante non solo per me, ma anche per gli artigiani dell’Italsider, felici di lavorare con noi artisti.” Le opere di Pomodoro sono spesso grandi forme geometriche su cui l’artista scava , incide, “strappa” il materiale per farci scoprire l’interno delle figure: “Ho scelto i solidi della geometria intervenendo come una termite, per separare e togliere, per entrare all'interno della forma, per distruggerne il significato simbolico. In questo sentimento c’era forse anche la memoria della guerra.” Ad esempio le sfere di Pomodoro giocano sulla levigata perfezione di una superficie che subisce improvvise fratture che corrodono e consumano la sostanza a partire dall’interno. Sono un attentato alla perfezione; sono la lettura del nostro mondo inquieto, assalito da interrogativi esistenziali: “La sfera è una forma magica. La superficie lucida rispecchia ciò che c’è intorno, restituendo una percezione dello spazio diversa da quello reale, e crea mistero. Rompere questa forma perfetta mi permette di scoprirne le fermentazioni interne mostruose e pure.” E ancora parlando delle sfere: “Ricordo che un mio collezionista che ha studiato a Princeton, dove aveva insegnato Einstein, aveva il progetto, poi non realizzatosi, di regalare – a cento anni dalla nascita del grande scienziato – una mia sfera a quella Università. La cosa mi aveva molto colpito: le mie sfere, infatti, ricordano in un certo senso la rottura e la disintegrazione dell’atomo.” Interessante in questo senso una frase del critico del “New York Times” Pepe Karmel: “Sono sicuro che Arnaldo Pomodoro è il vero ispiratore delle immagini, del paesaggio, degli oggetti del film Guerre stellari di George Lucas. Le sue sfere lucenti che si aprono mostrano di contenere altre cose in un gioco di sorprese che ha segnato il gusto americano.”
Altre sculture sono in forma di colonne a sezione rotonda o circolare, oppure forme a spirale come Novecento (commissionata nel 1999 dall’allora Sindaco di Roma Francesco Rutelli per celebrare il passaggio del millennio. L’opera definitiva è stata collocata nel 2004 nel Piazzale Pier Luigi Nervi, un luogo particolarmente significativo che segna, per chi giunge dal mare, l’accesso alla grande città eterna): “Le sculture in forma di spirale le ho progettate, invece, ricordando le piazze dell’antica Roma, con il loro obelisco o la loro colonna. La forma crescente e avvolgente, e sempre più sottile, ha un senso di progressione continua, che è insieme di uguaglianza e di elevamento.”
Ma cos’è che ispira Pomodoro nella realizzazione di una scultura? Ci dice: “Non credo all’ispirazione, si tratta piuttosto di suggestioni, di folgorazioni che ti vengono in diverse situazioni, nei momenti più impensabili. Noi artisti siamo dotati di una particolare sensibilità nell’assorbire e nell’esprimere quello che ci sta attorno, a volte senza nemmeno capire dove si può arrivare. Per me l’opera è sempre in relazione ad ambienti (contesti) concreti che ho visto, visitato e conosciuto.” La superficie delle sue sculture è spesso rivestita di segni, incisioni, cunei che si ripetono ritmicamente, simboli di un linguaggio arcaico: “Ho sempre subito un grande fascino per tutti i segni, soprattutto quelli arcaici. Anche la scrittura mi ha attratto, dai segni primordiali nelle grotte, alle tavolette degli Ittiti e dei Sumeri.”
L’incontro e la lettura di scrittori sia italiani che stranieri ha contribuito non poco alla formazione di un proprio linguaggio e di una certa percezione della realtà: “ Il primo libro che ricordo di aver letto con passione è stato proprio Il castello di Kafka. Io mi riconoscevo nelle sue storie, e i segni delle mie prime opere contenevano elementi di analogia con le tematiche dei suoi libri: l’indecifrabilità, l’ambiguità, l’incertezza dell’essere umano, il subconscio.” E ancora: “La lettura non solo è stimolante, ma direi determinante per il mio lavoro. I più importanti poeti italiani, quelli che erano stati i miei miti di ragazzo di provincia, divennero a Milano presenze concrete, amici carissimi: Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli. In seguito avrei incontrato – grazie all’attivissima amica Fernanda Pivano – i protagonisti della Beat generation, a cominciare da Allen Ginsberg e Gregory Corso… non dimentico ovviamente Montale.”
Per le opere di grandi dimensioni, dati i costi per la realizzazione, Pomodoro lavora su commissione. Secondo alcuni ciò potrebbe limitare la libertà dell’artista e distorcerne la vera intenzione. In realtà Pomodoro ha sempre potuto esprimere la propria inventiva, anzi, le opere più grandi sono forse la somma espressione della sua arte. Realizzare una scultura per una piazza pone svariate problematiche e l’artista è stimolato nel cercare soluzioni per integrare l’opera nel contesto urbano e possibilmente valorizzarlo: “Prendo in esame ogni aspetto del luogo dove l’opera deve essere collocata con foto, rilievi e prove dimensionali e spaziali. Generalmente non sono io a scegliere i luoghi dove posizionare le mie sculture, che spesso mi vengono indicati dalla committenza, ma la collocazione di una scultura in un determinato luogo richiede sempre attenzione e studi approfonditi sul rapporto scultura-spazio circostante. La scultura è una presa di un proprio spazio entro lo spazio maggiore in cui si vive e ci si muove. La scultura, quando trasforma il luogo in cui è posta, ha veramente una valenza testimoniale del proprio tempo, riesce ad improntare di sé un contesto, per arricchirlo di ulteriori stratificazioni di memoria. Per me la massima aspirazione è quella di avere come ambiente, per le mie opere, l’aperto, la gente, le case, il verde. Sono perciò contento che molte mie sculture siano collocate in importanti piazze del mondo e in luoghi significativi.” L’arte nelle piazze, l’arte alla portata di tutti: “Nell’arredo urbano è fondamentale, a mio avviso, l’intervento artistico. Ciò richiede un lavoro di integrazione tra architetto e scultore, interessante e di stimolo reciproco, ma anche complesso e problematico.” A questo proposito concludiamo con le parole di Giulio Carlo Argan, che sintetizzano al meglio l’opera di Arnaldo Pomodoro: “In bilico tra metafisica e meccanica, tra cosmologia e orologeria le macchine monumentali di Pomodoro sono anche strani congegni urbanistici ed ecologici. Collocati nel paesetto marchigiano natale hanno un senso biografico, in un vecchio contesto urbano un senso evocativo, in una piazza di città moderna un senso di sintonia, sulla riva del mare un senso d’infinito. Sono sculture piene di valenze aperte, hanno bisogno di siti significativi con cui combinarsi.”


Riferimenti
Le informazioni sulla vita, sull’opera e sullo stile di Arnaldo Pomodoro, nonché le varie citazioni, come già specificato, sono state tratte da:

- it.Wikipedia.org
www.palazzomagnani.it
www.sculturaitaliana.it
svariati articoli su Pomodoro comparsi su: La Repubblica, L’Espresso, Corriere delle Alpi