giovedì 27 marzo 2008

Recensione di INTO THE WILD: Un film toccante e meditativo

Tratto dal best seller "Nelle terre estreme" di Jon Krakauer, il film racconta una storia vera, quella di un giovane laureato e benestante, Christopher McCandless, che abbandona la sua vita per cominciare una meravigliosa avventura alla ricerca della libertà, dell’uomo e di se stesso.

Regista e sceneggiatore è il grande Sean Penn, il quale dovette attendere dieci anni per ottenerne i diritti.



Il padre di Christofer McCandless è un ex ingegnere della NASA, mentre, la madre, più scaltra negli affari, gestisce le consulenze del padre. Dietro l’apparente normalità di questa famiglia benestante e perbenista, però, si celano numerosi segreti.

E’ una famiglia moderna, che si regge su apparenze e falsità, e, che, ormai, il moralista Christofer non riesce più a sopportare.


Dopo la laurea, nel 1990, Christofer McCandless decide di cominciare una nuova vita e di tagliare i ponti con il suo passato. Lui non vuole “cose”, non vuole un’automobile nuova, non vuole avere venticinquemila dollari sul conto vuole altro.


Si libera, così, della propria identità, distruggendo ogni documento che possa far risalire ad essa, e, si farà chiamare con lo pseudonimo di Alexander Supertramp.

Si slega completamente dalla propria famiglia, facendo perdere ogni traccia di sé durante gli anni successivi.

Ripudierà il denaro, che ha soggiogato la società e che determina gli stili, i ritmi e gli scopi della nostra vita. Lavorerà, quindi, saltuariamente, solo per ottenere il denaro necessario ad acquistare le attrezzature per il suo lunghissimo viaggio.

Abbandonerà la sua automobile in mezzo al deserto, affidandosi, da questo momento in poi all’autostop e a dei mezzi di fortuna (dai vagoni dei treni alla canoa). Ora, è un trampoliere, un pellegrino moderno, che si sposta prevalentemente a piedi con lo zaino in spalla, lungo tutti gli Stati Uniti, verso nuove mete spirituali.


Durante il suo tragitto incontrerà nuovi amici, un contadino che gli insegnerà a cacciare la selvaggina, due hippy che lo aiuteranno e a cui Alexander riuscirà ad alleviare le sofferenze per la fuga del figlio, una cantautrice sedicenne che si innamorerà di lui ed un anziano, senza famigliari, a cui darà una ragione di vita, la sua: Nella vita quello che conta non è essere forti ma sentirsi forti e se vuoi qualcosa veramente datti da fare e prendila”.


Alla fine, raggiungerà la meta conclusiva del suo percorso, l’Alaska. Dove, tra monti e distese disabitate, l’eremita Alexander Supertramp, che non ama di meno gli uomini ma di più la natura, ha raggiunto la completa ed assoluta libertà.

Nell’ultimo atto del film, riuscirà a perdonare la propria famiglia ed arriverà all’ultima consapevolezza: “la felicità è reale solo se condivisa”.


Pubblicato su UNO PROVOCATORIO

venerdì 7 marzo 2008

Approfondimento su Arnaldo Pomodoro



Arnaldo Pomodoro

Arnaldo Pomodoro è uno tra gli scultori contemporanei italiani più conosciuto e stimato tanto in Italia, quanto all’estero. Basti pensare che le sue monumentali opere sono state installate nelle più famose piazze del mondo, da Roma a Dublino, da Los Angeles a Copenaghen. Si occupa inoltre di scenografie per spettacoli teatrali. Questo articolo si concentra sull’opera scultorea dell’artista (con frequenti citazioni per lasciare la parola a Pomodoro stesso) e traccia una biografia della vita.

La vita
Arnaldo Pomodoro nasce nel 1926 a Morciano di Romagna. Dopo pochi mesi la famiglia si sposta a Orciano di Pesaro, nelle Marche, dove Arnaldo trascorre l’infanzia. Successivamente si trasferisce a Rimini per proseguire gli studi. Frequenta la scuola media e poi l’istituto tecnico per geometri. Durante la guerra ritorna a Orciano. Si appassiona alla lettura di autori contemporanei italiani e stranieri, fra cui, in particolare, Vittorini, Pavese, Hemingway, Faulkner, Steinbeck, Fitzgerald. Conclusa la guerra, ottiene il diploma di geometra e si iscrive alla Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Bologna. Lavora al Genio Civile di Pesaro, con incarico di consulenza per la ricostruzione di edifici pubblici; continua questo lavoro fino al 1957. Frequenta anche l’Istituto d’Arte di Pesaro.
Nel ’53 partecipa a un concorso di scenografia promosso da A. G. Bragaglia e ottiene un premio. Visita la grande mostra di Picasso al Palazzo Reale di Milano e poi vi si trasferisce. A Milano stringe amicizia con molti artisti e uomini di cultura. Di questa esperienza milanese Pomodoro dice: “Devo dire che l’accoglienza a Milano fu molto positiva. Allora Milano era estremamente viva e vitale, con un’impronta europea e internazionale. È qui che cominciai a frequentare artisti e uomini di cultura (oltre a Fontana, Baj, Dangelo, Milani, Sanesi, Mulas…) e ad avere l’appoggio dei poeti e degli scrittori. Molto importante è stata la conoscenza con Fernanda Pivano e Ettore Sottsass: in casa loro ho avuto i primi incontri con gli americani. Così sono entrato in un mondo non solo milanese, ma internazionale.” [Nota: tutte le citazioni di questo articolo riferite a Pomodoro sono tratte da una splendida intervista di Sandro Parmiggiani che è stata fatta in occasione di una mostra a Palazzo Magnani (Reggio Emilia). Per chi volesse leggerla tutta, è reperibile sul sito www.palazzomagnani.it]. Prime mostre, insieme al fratello Giò, e invito alla Biennale di Venezia nel ‘56. Nel ‘58 espone a Colonia (Kölnischer Kunstverein), Düsseldorf (Galerie 22), Bruxelles (Galerie Helios Art). Un premio di studio del Ministero degli Affari Esteri gli consente il primo viaggio negli Stati Uniti nel 1959, a New York e San Francisco, dove organizza una mostra di artisti italiani con il titolo New work from Italy. Circa gli States Pomodoro dice: “Il desiderio di andare negli Stati Uniti era soprattutto motivato dalla grande curiosità di conoscere da vicino gli artisti americani, dopo che avevo visto alcune opere straordinarie portate in Italia da Peggy Guggenheim, e altre alle Biennali di Venezia e di Parigi.” A New York, infatti, incontra gli scultori David Smith e Louise Nevelson. Si forma nel ‘60 il “Gruppo Continuità” (Perilli, Novelli, Turcato, Dorazio, Arnaldo e Giò Pomodoro) per la ricerca astratta fra materia e segno. Giulio Carlo Argan e Guido Ballo organizzano le prime mostre del gruppo. In occasione del "Festival dei due mondi" di Spoleto, nel 1962, nella mostra di sculture nella città, presenta un'opera in ferro (un cilindro di m. 5.60 di altezza e cm. 60 di diametro) che segna il passaggio alla scultura volumetrica. Moltissime mostre in questi anni sparse in tutto il mondo. Realizza nel 1963 la sua prima sfera. Riceve il "Premio Internazionale per la Scultura" alla Biennale di San Paolo del Brasile. Nel 1964 ha una sala personale e il "Premio Nazionale di Scultura" alla XXXII Biennale di Venezia: qui, come a San Paolo, sono significative le sfere e i cilindri con perforazioni e lacerazioni interne. Nel 1966 la Stanford University lo invita come artist in residence. Fa amicizia con i poeti della generazione “Beat”, da Ginsberg a Corso. Sul finire degli anni ’70, con l’assistenza di Eleonora e Valter Rossi, realizza una serie di opere grafiche con tecniche varie di acquatinta e interventi a rilievo in calcografia. Nel 1979, su invito del Mills College di Oakland, California, riprende a insegnare negli Stati Uniti (fino al 1984). Per quanto riguarda l’insegnamento negli States dice: “Ho sempre considerato importante l’insegnamento, il rapporto con i giovani studenti, cercando di ristabilire il clima stimolante della bottega, dove insieme si può sperimentare e progettare.

Negli Stati Uniti il metodo di insegnamento nelle arti è diverso che in Europa: si lavora insieme ai giovani, che hanno un loro studio dentro l’università, si va a vedere cosa fanno, conversando e discutendo insieme innanzitutto dei problemi che riguardano la storia dell’arte e le diverse tecniche artistiche.” E sull’America in generale: “Ho conosciuto quasi tutti gli stati americani, anche quelli centrali. Certo ho avuto la fortuna di viverci nel periodo migliore. […]Per me l’America ha rappresentato un approccio non accademico e non-retorico all’arte. In America ci sono molti collezionisti che amano il mio lavoro e che non pensano solo all’investimento, come oggi purtroppo avviene un po’ dappertutto. Ora sento che c’è una sorta di sciovinismo. Ciononostante continuo a fare due o tre viaggi all’anno negli States, soprattutto a New York che rimane un grande ring dove ci si può confrontare, l’unico ring di cui non si può fare a meno – come una volta era Parigi.” Negli anni ’80 e ‘90 Pomodoro è ormai artista affermato, continuano le sue mostre in tutto il globo, la critica scrive libri su di lui e gli vengono anche commissionate grandi sculture per la Sudameris Bank di San Paolo del Brasile, ad esempio, e per la Berkeley Library del Trinity College dell’Università di Dublino e per il Mills College di Oakland. Dal 1990 dirige il Centro TAM (Trattamento Artistico dei Metalli) scuola di "perfezionamento" nella scultura, nel gioiello e nel design, istituita in collaborazione con il Comune di Pietrarubbia nel Montefeltro, con finanziamenti del Fondo Sociale Europeo e della Regione Marche. Nel ’92 il Trinity College dell’Università di Dublino gli conferisce la Laurea in Lettere honoris causa. In occasione del 50° anniversario dell'istituzione dell'Onu, a New York, nel piazzale delle Nazioni Unite, viene collocata, dono del Governo e del popolo italiano, l'opera Sfera con sfera di metri 3,30 di diametro. Gli viene conferita dal Presidente della Repubblica l'onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana”. Nel 1996 si costituisce la Fondazione Arnaldo Pomodoro e nel luglio 1997 il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali ne riconosce la personalità giuridica. Vengono inoltre completati, su progetto di P.L. Cerri, la ristrutturazione e l'allestimento dello spazio espositivo sito a Quinto Stampi (Rozzano, Milano), dove sono raccolte le opere della Fondazione.
Riguardo alla Fondazione: “Credo che l’artista non possa chiudersi in una torre d’avorio e anzi debba essere coinvolto e proiettato nella società: è un problema etico che ho sempre sentito. Da questa consapevolezza nasce l’idea di una mia Fondazione. […]. Sono state organizzate due importanti mostre dedicate alla scultura italiana del XX secolo e al lavoro di Gastone Novelli, oltre a diverse iniziative culturali. Ha avuto luogo la prima edizione di un premio internazionale biennale istituito per sostenere il lavoro e la ricerca dei giovani scultori. Mi sembra che sia stata intrapresa la strada giusta. Oggi è importante promuovere una migliore comprensione dell’arte contemporanea da parte del pubblico – insieme ad una formazione migliore per gli artisti futuri – e dare impulso alla vita culturale e al dibattito in corso. A tutto questo vuol corrispondere la Fondazione che, oltre a far conoscere il mio lavoro, ha il fine di diventare un laboratorio di idee e di iniziative, luogo di incontro e di esperienza per gli artisti e per tutti coloro che amano l’arte.”


L’arte
Arnaldo Pomodoro, come il fratello Giò, esordì come disegnatore, decoratore e artigiano. Le sue prime opere erano pezzi di oreficeria e piccole sculture in oro o argento. L’esperienza milanese è stata essenziale alla sua formazione: le prime sculture, a metà degli anni '50, sono rilievi modellati nel ferro, stagno, piombo, argento, cemento e bronzo. La sua scrittura è costituita da segni astratti. L'uso di questi materiali inediti testimonia la ricerca e la volontà di Pomodoro di sperimentare nuovi mezzi formali ed espressivi, per approdare, negli anni ’60 e’70, alla complessità ed alla monumentalità delle opere più importanti e famose. Come scrive Luciano Caprile: “Con Arnaldo Pomodoro il passato, il presente e il futuro s’incontrano in una rappresentazione che sorprende e intimorisce, come succede al cospetto dei misteri dell’assoluto. Le sculture si propongono nella loro seducente lucentezza e nella loro ambigua asprezza. Ambigua perché porta messaggi di immediata percezione visiva ma di difficile coniugazione mentale. Ambigua perché il desiderio del tatto si ferma al limite del dolore fisico nel percorrere un frammento, un piccolo tragitto di auspicabile eternità.” È proprio questa complessità che rende le opere di Pomodoro così affascinanti, il cercare il messaggio che la scultura sembra suggerirci: “Tutto in Pomodoro pare ineccepibile e precario, tutto sembra sul punto di rivelarsi o di sgretolarsi nell’oblio definitivo.”
Quando l’artista ha in mente l’opera, prima fa degli schizzi su carta, poi però deve mettere le mani nella terra per creare il giuoco di pieni e vuoti, luci e ombre come dice lui stesso: “Avevo già capito che la strada della pittura non mi era congeniale, mentre ero attratto dalla materia che avevo bisogno di toccare e di trasformare.” La ricerca dell’artista è anche uno sperimentare materiali e tecniche diverse. Parlando di una delle sculture più famose, La colonna del viaggiatore, Pomodoro dice: “ si tratta infatti della mia prima opera volumetrica in ferro colata a staffa, a differenza delle sculture che avevo realizzato in bronzo con il metodo della fusione a cera persa, che consente di scavare i diversi sottosquadri per creare ombre e giuochi di luce. Ero appunto all'Italsider di Lovere, in provincia di Bergamo, dove si fondevano le ruote dei treni e le eliche delle grandi navi da crociera della nostra flotta.
Ho sempre lavorato con l’argilla in negativo, usando coltelli e attrezzi che pigiavo sull’argilla per ottenere rientranze e sporgenze: mi trovai invece a dovere operare con una sabbia speciale che veniva dal Kenya, miscelata con olio, perché diventasse più compatta e solida, sulla quale comunque era molto difficile lavorare. La colonna fu fusa in quattro pezzi, poi saldati tra di loro. Fu un’esperienza emozionante e stimolante non solo per me, ma anche per gli artigiani dell’Italsider, felici di lavorare con noi artisti.” Le opere di Pomodoro sono spesso grandi forme geometriche su cui l’artista scava , incide, “strappa” il materiale per farci scoprire l’interno delle figure: “Ho scelto i solidi della geometria intervenendo come una termite, per separare e togliere, per entrare all'interno della forma, per distruggerne il significato simbolico. In questo sentimento c’era forse anche la memoria della guerra.” Ad esempio le sfere di Pomodoro giocano sulla levigata perfezione di una superficie che subisce improvvise fratture che corrodono e consumano la sostanza a partire dall’interno. Sono un attentato alla perfezione; sono la lettura del nostro mondo inquieto, assalito da interrogativi esistenziali: “La sfera è una forma magica. La superficie lucida rispecchia ciò che c’è intorno, restituendo una percezione dello spazio diversa da quello reale, e crea mistero. Rompere questa forma perfetta mi permette di scoprirne le fermentazioni interne mostruose e pure.” E ancora parlando delle sfere: “Ricordo che un mio collezionista che ha studiato a Princeton, dove aveva insegnato Einstein, aveva il progetto, poi non realizzatosi, di regalare – a cento anni dalla nascita del grande scienziato – una mia sfera a quella Università. La cosa mi aveva molto colpito: le mie sfere, infatti, ricordano in un certo senso la rottura e la disintegrazione dell’atomo.” Interessante in questo senso una frase del critico del “New York Times” Pepe Karmel: “Sono sicuro che Arnaldo Pomodoro è il vero ispiratore delle immagini, del paesaggio, degli oggetti del film Guerre stellari di George Lucas. Le sue sfere lucenti che si aprono mostrano di contenere altre cose in un gioco di sorprese che ha segnato il gusto americano.”
Altre sculture sono in forma di colonne a sezione rotonda o circolare, oppure forme a spirale come Novecento (commissionata nel 1999 dall’allora Sindaco di Roma Francesco Rutelli per celebrare il passaggio del millennio. L’opera definitiva è stata collocata nel 2004 nel Piazzale Pier Luigi Nervi, un luogo particolarmente significativo che segna, per chi giunge dal mare, l’accesso alla grande città eterna): “Le sculture in forma di spirale le ho progettate, invece, ricordando le piazze dell’antica Roma, con il loro obelisco o la loro colonna. La forma crescente e avvolgente, e sempre più sottile, ha un senso di progressione continua, che è insieme di uguaglianza e di elevamento.”
Ma cos’è che ispira Pomodoro nella realizzazione di una scultura? Ci dice: “Non credo all’ispirazione, si tratta piuttosto di suggestioni, di folgorazioni che ti vengono in diverse situazioni, nei momenti più impensabili. Noi artisti siamo dotati di una particolare sensibilità nell’assorbire e nell’esprimere quello che ci sta attorno, a volte senza nemmeno capire dove si può arrivare. Per me l’opera è sempre in relazione ad ambienti (contesti) concreti che ho visto, visitato e conosciuto.” La superficie delle sue sculture è spesso rivestita di segni, incisioni, cunei che si ripetono ritmicamente, simboli di un linguaggio arcaico: “Ho sempre subito un grande fascino per tutti i segni, soprattutto quelli arcaici. Anche la scrittura mi ha attratto, dai segni primordiali nelle grotte, alle tavolette degli Ittiti e dei Sumeri.”
L’incontro e la lettura di scrittori sia italiani che stranieri ha contribuito non poco alla formazione di un proprio linguaggio e di una certa percezione della realtà: “ Il primo libro che ricordo di aver letto con passione è stato proprio Il castello di Kafka. Io mi riconoscevo nelle sue storie, e i segni delle mie prime opere contenevano elementi di analogia con le tematiche dei suoi libri: l’indecifrabilità, l’ambiguità, l’incertezza dell’essere umano, il subconscio.” E ancora: “La lettura non solo è stimolante, ma direi determinante per il mio lavoro. I più importanti poeti italiani, quelli che erano stati i miei miti di ragazzo di provincia, divennero a Milano presenze concrete, amici carissimi: Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli. In seguito avrei incontrato – grazie all’attivissima amica Fernanda Pivano – i protagonisti della Beat generation, a cominciare da Allen Ginsberg e Gregory Corso… non dimentico ovviamente Montale.”
Per le opere di grandi dimensioni, dati i costi per la realizzazione, Pomodoro lavora su commissione. Secondo alcuni ciò potrebbe limitare la libertà dell’artista e distorcerne la vera intenzione. In realtà Pomodoro ha sempre potuto esprimere la propria inventiva, anzi, le opere più grandi sono forse la somma espressione della sua arte. Realizzare una scultura per una piazza pone svariate problematiche e l’artista è stimolato nel cercare soluzioni per integrare l’opera nel contesto urbano e possibilmente valorizzarlo: “Prendo in esame ogni aspetto del luogo dove l’opera deve essere collocata con foto, rilievi e prove dimensionali e spaziali. Generalmente non sono io a scegliere i luoghi dove posizionare le mie sculture, che spesso mi vengono indicati dalla committenza, ma la collocazione di una scultura in un determinato luogo richiede sempre attenzione e studi approfonditi sul rapporto scultura-spazio circostante. La scultura è una presa di un proprio spazio entro lo spazio maggiore in cui si vive e ci si muove. La scultura, quando trasforma il luogo in cui è posta, ha veramente una valenza testimoniale del proprio tempo, riesce ad improntare di sé un contesto, per arricchirlo di ulteriori stratificazioni di memoria. Per me la massima aspirazione è quella di avere come ambiente, per le mie opere, l’aperto, la gente, le case, il verde. Sono perciò contento che molte mie sculture siano collocate in importanti piazze del mondo e in luoghi significativi.” L’arte nelle piazze, l’arte alla portata di tutti: “Nell’arredo urbano è fondamentale, a mio avviso, l’intervento artistico. Ciò richiede un lavoro di integrazione tra architetto e scultore, interessante e di stimolo reciproco, ma anche complesso e problematico.” A questo proposito concludiamo con le parole di Giulio Carlo Argan, che sintetizzano al meglio l’opera di Arnaldo Pomodoro: “In bilico tra metafisica e meccanica, tra cosmologia e orologeria le macchine monumentali di Pomodoro sono anche strani congegni urbanistici ed ecologici. Collocati nel paesetto marchigiano natale hanno un senso biografico, in un vecchio contesto urbano un senso evocativo, in una piazza di città moderna un senso di sintonia, sulla riva del mare un senso d’infinito. Sono sculture piene di valenze aperte, hanno bisogno di siti significativi con cui combinarsi.”


Riferimenti
Le informazioni sulla vita, sull’opera e sullo stile di Arnaldo Pomodoro, nonché le varie citazioni, come già specificato, sono state tratte da:

- it.Wikipedia.org
www.palazzomagnani.it
www.sculturaitaliana.it
svariati articoli su Pomodoro comparsi su: La Repubblica, L’Espresso, Corriere delle Alpi